prigionie
prigionieri
Iniziata da
gazzaladra2020,
1 messaggio in questa discussione
Crea un account o accedi per commentare
È necessario essere registrati per poter lasciare un messaggio
Inviata
La nostra prigione è tutto ciò che ci circonda e di cui non riusciamo a privarci perché ci appare irrinunciabile, fondamentale per i nostri passi quotidiani. E' una facile critica alla società di oggi che ha gettato le basi per peggiorare quella di domani; ma io, da pessimo altruista quale sono, non me ne preoccupo perché non potrò far parte di entrambe. Però, un timore mi ha conosciuto qualche anno fa e non mi ha più abbandonato, nutrendosi dei miei dubbi (quindi a mie spese) e crescendo forte e robusto. E' lo stesso timore che ha Lei nel prevedere una insurrezione popolare, anche se mi sembra (quello che uso) un termine ridicolo, più adatto ad applicazioni storiche che ad un linguaggio popolare, ma "rivolta" suona allo stesso modo, immaturo. Tuttavia, il pericolo di un drastico cambiamento nella "disponibilità" italiana ad accettare ulteriori restrizioni, sacrifici, promesse e ingiustizie sociali, credo sia vicino e incombente. Le restrizioni non si adattano ad un popolo farfallone come quello italiano, pronto a togliersi anche un pasto al giorno pur di non rinunciare alla leggerezza del cicaleccio sociale, fatto di jogging, shopping, "selfing" (self taking) e tante altre cose che finiscono con "-ing", ma che non suonano come "living". So benissimo che la vita è fatta di tante cose, non tutte soddisfacenti, necessarie, certe o ben distribuite, ma rimane il fatto che se perdiamo il superfluo ne soffriamo e l'esistenza si trasforma in lotta alla frustrazione. I ninnoli consumistici hanno cambiato la visione sulla capacità di attribuire un indice di priorità alle cose da fare, da dire, da acquistare. Questo significa che è cambiato il modo di pensare o, peggio ancora, è diminuita la capacità di farlo perché ci lasciamo trascinare dal suggerimento modaiolo a prescindere dalla sua utilità e senza essere in grado di opporci. Soddisfiamo le esigenze di mercato di chi produce beni spacciati per indispensabili o dei prodotti che la pubblicità rende un "must" già prima di essere immessi sul mercato. Va bene semplificare e migliorare la vita; è auspicabile che scienza, tecnologia e mercato portino benessere ed aspettative migliori, ma non a detrimento delle proprie facoltà intellettive e anche artigianali, affidando la riuscita di noi stessi non a dei suggerimenti, bensì a delle imposizioni mediatiche strutturate con l'intento di annullare il nostro spirito critico e la nostra resistenza ai loro richiami speculativi. Allora, abituati a delegare le nostre decisioni e a non mettere in pratica le nostre potenzialità (non dando per scontato che ci siano), ecco che le restrizioni ci fanno vivere nella paura, ma non della morte (che ci toccherebbe aspettare in qualsiasi epoca), bensì di una vita inaccettabile da condurre senza la patina di frivolezza emancipata che ci ostiniamo a chiamare Libertà. Ed ecco che in nome di questa finta libertà (quindi con la minuscola), ci adattiamo, ci "sacrifichiamo", accettiamo di privarci (momentaneamente) di tutto ciò che di "gerundiale" importiamo dagli anglosassoni, ma accumulando una carica esplosiva che i governanti non sono in grado di gestire, ne tantomeno disinnescare, perché non la conoscono. E la paura nasce e si nutre nell'ignoranza, nella non conoscenza intesa come non consapevolezza, che la rende incontrollabile e dagli effetti imprevedibili. Non credo sia il momento adatto per sperimentare e saggiare la vena rivoluzionaria di un popolo che è stato quasi sempre diviso e sottomesso. Le frizioni sociali si vanno sommando ormai da anni ed ogni gruppo, casta o ceto sociale porta esempi di ingiustizie e prevaricazioni perpetrate nei loro confronti in nome di tanti diritti proclamati e discussi da secoli e mai garantiti in via definitiva. Perché il diritto è una aspettativa che si trasforma in dote solo se viene continuamente ribadito con le lotte. Ma l'italiano evita le lotte perché ha fiducia nelle promesse, è ottimista perché pensa che anche gli altri lo siano o perché crede nelle proprietà taumaturgiche racchiuse negli amuleti che vendono fattucchiere vesuviane e stregoni moderni. Però, tornando alla mia preoccupazione (o speranza), che mi sembra di capire sia anche la sua, tengo sempre presente il detto "non c'è peggior cattivo di un buono che si incazza". Se un gas non ha la possibilità di espandersi, diciamo che si irrita, si sente prigioniero contro natura, non accetta di essere sotto pressione se non in spazi adeguati e protesta sonoramente: esplode. Invece, gli italiani hanno ancora spazio e se devono fare a turno per occuparlo, vabbè aspettano, magari chiedendosi perché un tizio salta la fila o ne occupa una porzione maggiore, ma senza che la protesta porti ad un cambiamento reale e duraturo, poiché è priva di determinazione e piena di timore di perdere anche quel poco che ancora gli rimane in termini di dignità. Una dignità che avrà anche le sue forme, ma ce n'è una che qualche buontempone ha pensato di inserire nella Costituzione, la protettrice di tutti i diritti, forse per mettere a nudo l'inadeguatezza di chi dovrebbe applicarla e approntare gli strumenti per farla rispettare. In tutto questo, un amico serve a scambiare idee per confrontarsi su molti temi: discutere e argomentare mantiene viva la mente, ma non lo dia per scontato perché oggi sono certo che ogni persona abbia un telefonino e non un cervello. Aggiunga il fatto che un amico, potenzialmente, è sempre pericoloso.
DvMcEv
Condividi questo messaggio
Link al messaggio
Condividi su altri siti