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Lavoro, l’Inps sui primi 6 mesi 2019: “Ancora in aumento i contratti indeterminati, 321mila in più. Anno su anno +60% stabilizzazioni”
I dati Inps sui primi sei mesi del 2019 confermano il trend positivo dei contratti di lavoro stabili – che era già emerso a gennaio e febbraio – ovvero dopo l’entrata in vigore del decreto Dignità anche per rinnovi e proroghe. Da gennaio a giugno il saldo netto dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato segna un aumento di 321.805 contratti, registrando così un incremento del 150,7% rispetto allo stesso periodo del 2018. Prosegue anche il boom delle trasformazioni da tempo determinato a indeterminato, passate da 231.866 a 372.016 (+60,4% rispetto ai primi sei mesi dello scorso anno). Sono i dati che emergono dall’Osservatorio sul precariato dell’Istituto.
Ma non dovevamo essere avvolti dal cataclisma economico?
Buona futura opposizione di inquisiti di sinistra a tutti
28 minuti fa, ahaha.ha ha scritto:merito job act o del decreto dignità?
I dati Inps sui contratti di lavoro attivati e su quelli conclusi nel 2018 confermano i primi effetti del decreto Dignità nel modificare la struttura del mercato in favore dei rapporti stabili. Effetti che si erano già visti nelle statistiche di novembre, mese in cui il provvedimento che rende obbligatoria la causale per i contratti superiori a 12 mesi è entrato in vigore anche per rinnovi e proroghe. Se infatti nei 12 mesi le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato nel complesso risultano quasi raddoppiate, da 299.000 a 527.000, con un aumento del 76,2%, nell’ultimo bimestre dell’anno c’è stata “un’ulteriore accelerazione“. A novembre e dicembre le trasformazioni di rapporti a termine e apprendistati in contratti stabili sono state 124.300 contro le 61.700 di novembre e dicembre 2017. Un aumento del 101 per cento.
Lei che dice sig ahaha.ha ?? Facciamo così : capisco che per un ex sicario di Renzi , la cosa possa dispiacere , ma legga senza pregiudizio questo articolo e vedrà che giunge alle stesse conclusioni di Eurostat .
Aumentano i contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Nei primi 7 mesi del 2019, la crescita è netta, indiscutibile. Accantonando per un attimo il problema dell’impennata del part-time cd. involontario, la notizia va salutata solo positivamente. A cosa è dovuto questo aumento? I fattori possono essere tanti. Posso limitarmi -perché conosco i miei limiti- a dare una spiegazione giuslavorista.Se vogliamo essere intellettualmente onesti, senza dubbio, il jobs act ha favorito questo aumento perché, molto banalmente, ha fatto in modo che fosse meno difficile la risoluzione del rapporto di lavoro che si va ad instaurare. Oggi i datori hanno meno timore ad assumere a tempo indeterminato perché sanno che se decidono di licenziare non devono applicare il famigerato art.18.
L’errore del jobs act è stato sicuramente quello di prevedere un risarcimento troppo irrisorio in caso di recesso ingiustificato. Ciò ha incentivato comportamenti datoriali troppo disinvolti marchiando così il jobs act come la riforma “brutta e cattiva” quando è piuttosto la “misunderstood reform”: gli ideologici detrattori sono stati colpevolmente poco attenti alla portata innovativa e laburista che si legge particolarmente nel decreto legislativo 150 del 2015. Mantenere l’assetto delle tutele crescenti (non particolarmente amate dai lavoratori ma incentivanti per i datori di lavoro) è stata una scelta di Luigi Di Maio. Con il “decreto dignità”, Di Maio si è solo limitato ad alzare l’asticella del risarcimento, mantenendo un equilibrio quasi salomonico tra imprenditori e lavoratori. Così facendo non ha fermato la spinta propulsiva del jobs act verso le assunzioni a tempo indeterminato.
C’era forse da parte sua anche l’auspicio, non del tutto realizzatosi, di condizionare la pronuncia della Consulta sulle tutele crescenti. Ora l’incertezza creata dalla decisione della Corte Costituzionale dovrebbe essere motivo di riflessione per una normativa unica sul licenziamento illegittimo. Ritornando all’analisi di partenza, non va sottovalutata la scelta drastica del jobs act di prevedere che la collaborazione parasubordinata, orfana del “progetto”, se resa nei tempi e nei luoghi stabiliti dal committente, sia disciplinata al pari del lavoro subordinato. I riders hanno ottenuto gli stessi diritti economici dei fattorini con regolare contratto di lavoro subordinato grazie all’applicazione da parte dei giudici del lavoro proprio di una norma del jobs act, norma che è stata “scoperta” a distanza di tempo e che ha subìto l’ostracismo da parte di coloro che l’hanno ritenuta, a torto e a convenienza, una norma inutile.
Se la collaborazione parasubordinata continuativa organizzata dal committente deve essere disciplinata come il lavoro subordinato, allora ha poco senso per il datore di lavoro preferirla rispetto a un contratto di lavoro a tutele crescenti che invece prevede per legge obblighi di diligenza e fedeltà da parte del lavoratore suscettibili di procedimento disciplinare.
Il jobs act rimane e mostra di essere una riforma piena di vita. Non solo perché condiziona i datori di lavoro a instaurare contratti subordinati a tempo indeterminato ma anche perché resta l’architrave delle politiche attive del lavoro. Senza il decreto legislativo n.150 del 2015, il reddito di cittadinanza voluto da Nunzia Catalfo, ora Ministro del Lavoro, sarebbe stato davvero una impresa impossibile. Sono rimasti i solchi segnati dal jobs act e i passi in avanti fatti da Anpal con il Governo Gentiloni nel disegno della misura di politica attiva del lavoro voluta dai pentastellati.
Credo che le dichiarazioni dell'Inps siano più attuali di quella eurostat, sig Mark.
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merito job act o del decreto dignità?
I dati Inps sui contratti di lavoro attivati e su quelli conclusi nel 2018 confermano i primi effetti del decreto Dignità nel modificare la struttura del mercato in favore dei rapporti stabili. Effetti che si erano già visti nelle statistiche di novembre, mese in cui il provvedimento che rende obbligatoria la causale per i contratti superiori a 12 mesi è entrato in vigore anche per rinnovi e proroghe. Se infatti nei 12 mesi le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato nel complesso risultano quasi raddoppiate, da 299.000 a 527.000, con un aumento del 76,2%, nell’ultimo bimestre dell’anno c’è stata “un’ulteriore accelerazione“. A novembre e dicembre le trasformazioni di rapporti a termine e apprendistati in contratti stabili sono state 124.300 contro le 61.700 di novembre e dicembre 2017. Un aumento del 101 per cento.
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