la pacchia del migrante

Questa testimonianza è stata raccolta da Emilia Corea dell’associazione culturale La Kasbah. 

S. ha 19 anni, viene dalla Costa d’Avorio, è  accolto all’interno di un centro di accoglienza straordinaria della provincia di Cosenza. Nei suoi confronti è  stato predisposto un percorso di riabilitazione fisica (relativa alle lesioni alle articolazioni conseguenti la tortura da sospensione) e psicologica (volta al superamento del disturbo post traumatico da stress) all’interno dell’equipe multidisciplinare di Cosenza per l’emersione, la diagnosi, la presa in carico di richiedenti e titolari di protezione internazionale vittime di tortura. L’intervista è stata rilasciata in data 7 novembre 2018 all’interno dei locali dell’associazione “La Kasbah”. Nel rispetto della *** dell’intervistato le generalità sono state omesse. S. è stato informato della pubblicazione del suo racconto all’interno del Dossier Libia. 

Da quanti anni sei in Italia?

Da 2 anni, quasi due anni.

Dove vivi? 

Nel campo di T.

Come stai?

Non sto bene. Ho mal di testa. Ho sempre mal di testa. Non dormo bene, mi sento stanco. 

Da quanto tempo?

Da quando stavo in Libia, è cominciato dopo essere uscito dalla prigione

Hai altri disturbi?

Dormo poco. Mi addormento la mattina alle 4, alle 6 mi sveglio

Hai incubi?

Sì. Sempre. E ho sempre mal di testa, ti ho detto. Qui, guarda, qui mi hanno colpito. La vedi la cicatrice? Mi hanno picchiato anche sull’orecchio. Quando qualcuno parla con me devo girarmi così perché da questo orecchio non riesco a sentire nulla. 

In che modo ti hanno colpito?

Con il calcio del fucile. Quando ci hanno preso.

Dove vi hanno preso?

Vicino Zabratha. Di notte. Ci hanno portato in una prigione dove c’erano tante persone. Le donne da una parte e gli uomini dall’altra. Però ogni tanto sentivamo gridare le donne. C’erano anche dei bambini. Spesso li sentivamo piangere. 

Era una prigione governativa?

No. Era una specie di magazzino. Isolato. Aveva le finestre in alto. Però era sempre buio, c’era poca aria. Stavamo sdraiati a terra, seduti vicini, attaccati come sardine. Nessuno poteva sdraiarsi, non c’era abbastanza spazio. Avevo dei dolori fortissimi alle gambe. Mi faceva male la schiena. Ancora adesso mi fa male la schiena.

Ti hanno picchiato sulla schiena?

Mi picchiavano sulla schiena con una frusta tutte le volte che mi attaccavano al soffitto, con la testa verso il basso. 

Quanto tempo rimanevi appeso?

Non lo so. Forse mezz’ora. Però sembra un tempo infinito. Il tempo non passa mai. Ti senti morire. Poi tagliavano la corda e cadevo giù, sbattevo la testa. Anche per questo mi fa male sempre. 

Quanto tempo sei rimasto in prigione?

Forse un mese.

Sei riuscito a scappare?

No. Il boss (n.b. “il boss” è un’espressione generalmente utilizzata per indicare un datore di lavoro) del mio amico ha pagato il mio riscatto. Poi ho lavorato per restituirgli tutti i soldi. Mancava ancora una parte da restituire quando sono partito. Però ho continuato a pagare. Gli ho inviato tutti i soldi del mio pocket-money per più di un anno. 

Puoi raccontarmi nello specifico quali sono le violenze che più ti hanno toccato?

Tu non lo sai. Nessuno sa quello che significa stare in Libia. La Libia è l’inferno. Se muori, se vivi, non importa niente a nessuno. Sei solo una merce. Quando si rovina, si butta via. Lo sai quante persone ho visto morire nel deserto? Non te lo posso raccontare. Nessuno può capirlo. Nessuno. 

Vuoi che ci fermiamo?

No, continua. Scrivi. L’Europa deve sapere quello che ci fanno. Sulla camionetta che ha attraversato il deserto eravamo più di 50 persone. Chi non riusciva a tenersi saldo e cadeva sulla sabbia veniva lasciato a terra. Era morto. Era una condanna a morte quella. Il deserto è pieno di cadaveri lasciati sulla sabbia. Alcuni sono stati ammazzati dai predoni, altri sono caduti accidentalmente e lasciati morire. Se chiudi gli occhi senti il vento e le urla. Gridano prima di morire. Urlano ma nessuno si ferma a prenderli. Quando i nostri compagni sono caduti noi abbiamo implorato i trafficanti di fermarsi ma quelli ci hanno picchiati con i fucili e, allora, altre persone sono cadute per essersi ribellate. Voi non potete capire. Ogni volta che i *** di banditi ci fermavano, ci facevano scendere. Dividevano le donne dagli uomini, le violentavano davanti ai nostri occhi. Una volta hanno violentato una donna incinta di molti mesi, per 5 ore. Uno finiva, uno cominciava. Lei ha strillato tanto, ha pianto, poi pensavamo che fosse morta perché non si muoveva più. L’hanno lasciata sulla sabbia sanguinante. Quando sono andati via, l’abbiamo portata sulla camionetta, nonostante le proteste del guidatore e dei suoi soci. Quando siamo stati presi, all’arrivo in Libia, l’hanno portata via. Non l’ho più vista, non so se è riuscita a sopravvivere. 

Pensi spesso a quello che è successo?

Sì, sempre. Quando sono solo nella stanza. Quando spengo la luce la sera. Io non riesco a dormire al buio. Ho paura. Sento le voci dei carcerieri. Sento le voci dei prigionieri. La testa mi fa sempre male. Quando riesco ad addormentarmi faccio brutti sogni. Mi sveglio sempre sudato. Mi sembra di essere di nuovo in Libia. Qualche volta sogno di essere caduto in acqua, di non riuscire a respirare. E ho dolore al petto.

In che modo vorresti che ti aiutassimo?

Ho bisogno di dormire. Aiutatemi a dormire, sento che sto impazzendo!

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