Gli Architetti devono rimanere in Italia!

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Nel suo libro, Contro l’architettura, lei lamenta uno stile di progettazione degli edifici che mira solo all’apparenza e alla moda, e che definisce a due dimensioni. 
"In realtà lamento l’esistenza stessa dell’architettura, che ritengo finita come mestiere. Oggi gli architetti non fanno il lavoro che dovrebbero fare, ovvero quello di migliorare l’habitat, perché l’architettura stessa è diventata autoreferenziale e si è chiusa in un discorso che guarda alla moda e che non serve a migliorare la vita delle persone. Io penso che l’architettura così com’è semplicemente non dovrebbe esserci: si tratta di un mestiere legato al passato e a una concezione vecchia d’affrontare il problema. Per come stanno le cose, è sufficiente che gli architetti si trasformino in stilisti. Inoltre gli studi di architettura sono costruiti male: non c’è il tempo necessario per comprendere il luogo in cui si sta disegnando un progetto, il suo impatto sulla società e l’uso a cui sarà destinato l’edificio. E non solo manca il tempo, ma mancano anche le competenze perché nessuno si occupa di queste cose".

Come è possibile cambiare il modo in cui si svolge il lavoro di progettazione?
Prima di compilare un progetto è necessario comprendere il contesto in cui esso è situato: se si deve costruire un quartiere, bisogna capire chi lo abiterà. Ma tutto ciò non viene fatto dai grandi architetti, che non sono attrezzati per queste cose. A occuparsene sono invece i grandi studi di management, che infatti si accaparrano le vittorie nei concorsi internazionali.

Se questo è lo stato delle cose, come deve formarsi un giovane intenzionato a dedicasi all’architettura? 
I giovani vadano all’estero a studiare nelle facoltà di Public healt. In Italia la formazione è carente: ad esempio, non esiste nemmeno una facoltà di habitat. L’architettura, nel nostro paese, resta legata al fatto di stare in uno studio a disegnare.

Cosa deve sapere chi progetta edifici e quartieri?
Dal modo in cui si costruisce una fognatura a che cos’è un ecosistema fino alla maniera in cui è possibile scoprire i cambiamenti e le tendenze nell’andamento di una popolazione urbana: dunque, dall’analisi dei sistemi sociali al funzionamento tecnologico di una città. Il punto è che non è più possibile progettare con l’idea di costruire dei monumenti, a meno che non si faccia il designer.

E per chi vuole restare in Italia studiando architettura, cosa consiglia?
Consiglio di affiancare al proprio corso di studio anche la frequentazione di altre facoltà, di corsi o di master che affrontino materie diverse dalla mera architettura: la mia idea è di aprire corsi in questo senso al più presto. Per il momento, ritengo che la possibilità migliore per chi resta in Italia sia l’autoformazione: bisogna intraprendere un percorso più centrato perché quella dell’architetto è ormai una figura di un secolo fa. Ai giovani consiglio di leggere molto: spesso le città sono raccontate più a fondo dagli scrittori o dai biologi. Diventare architetti richiede una vasta conoscenza e non solo in materia di architettura: bisogna essere ferrati in materie come la storia e l’antropologia, che un giovane può imparare da solo o con un buon corso di cultural studies. Tutte quelle che ho elencato sono competenze riguardanti quelli che vengono definiti urban affairs. Inoltre bisognerebbe inventare degli studi professionali diversi dagli attuali: la professione, così com’è oggi, è ricattabile da parte degli immobiliaristi, non ha alcun potere negoziale e nessun rapporto con gli utenti.

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Nel suo libro lei descrive un universo abitato da pochi architetti divenuti delle ‘star’ e da una miriade di piccoli professionisti che vivono nel sogno di diventare famosi. Come deve muoversi un giovane architetto nel mondo del lavoro?
Sono convinto che per i giovani ci sia un sacco di lavoro, che però gli architetti non riescono a ottenere perché il mercato ha

 

bisogno di altre figure. Al giorno d’oggi, in tutti i concorsi internazionali si richiedono figure miste, come gli urbanisti o gli antropologi: i giovani devono capire che il lavoro c’è, e lo si trova se si hanno competenze diverse da quelle dell’architetto classico.

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