Se qualche pseudo storione lèggesse per intero questa intervista a Cantone , sarebbe meno … storione !!

 

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L’INTERVISTA

«Riforma Cartabia da difendere: con i reati a querela si salva il processo»

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Parla Raffaele Cantone, procuratore di Perugia: «Se vogliamo scongiurare il rischio che la politica arrivi a cancellare l’obbligatorietà dell’azione penale, dobbiamo renderla sostenibile» 

 
Errico Novi
 
19 gennaio, 2023 • 09:19
Updated, 19 gennaio, 2023 • 09:54
 

«È un intervento intelligente e realistico. Non condivido le critiche alla riforma Cartabia. Se si vuole preservare davvero, anche per il futuro, il principio di obbligatorietà dell’azione penale, in cui credo fermamente, non si possono che adottare soluzioni come l’estensione della perseguibilità a querela estesa a ulteriori fattispecie». Raffaele Cantone non è nuovo a posizioni autonome rispetto alla maggioranza dei magistrati, al mood prevalente nel dibattito sul processo penale. Passa non a caso per una sorta di eccezione del sistema. E in questa ampia intervista al Dubbio, illustra la propria valutazione positiva sulla riforma penale di Cartabia. Il procuratore di Perugia lo fa negli stessi minuti in cui in Consiglio dei ministri arriva il ddl con il quale Carlo Nordio rivede quel testo limitatamente a due aspetti: assicurare più tempo per la denuncia in caso di arresti in flagranza e ripristino della procedibilità d’ufficio quando sussiste l’aggravante del metodo mafioso.

Bastano questi due correttivi, procuratore Cantone?

Mi sembrano soluzioni sensate, che peraltro intervengono su aspetti della legislazione precedenti alla riforma. Mi pare nessuno abbia ricordato, in questi giorni, un dettaglio: già prima della riforma Cartabia, per i reati procedibili a querela, l’individuazione del metodo mafioso non faceva scattare affatto la perseguibilità d’ufficio. L’estensione della procedibilità a querela ad altre fattispecie ha fatto emergere una questione che in realtà già esisteva. Sarebbe il caso di tenerlo presente.

In generale, quindi, eliminare la procedibilità d’ufficio per reati come le lesioni personali guaribili in 40 giorni non è insulto alla sicurezza.

So di parlare in controtendenza, ma ribadisco: non sono affatto critico sulla riforma perché mi pare risponda a criteri di realismo. Se vogliamo mantenere in vita, davvero, il principio di obbligatorietà dell’azione penale, dobbiamo renderlo compatibile con altre esigenze di sistema.

Cioè con l’effettiva possibilità di sostenere il carico dei procedimenti?

Da anni tutti gli studiosi di diritto penale segnalano come l’articolo 112 della Costituzione possa essere preservato col ricorso a tre soluzioni: estensione dei reati procedibili a querela, depenalizzazione e strumenti deflattivi. La depenalizzazione, esclusa dalla riforma Cartabia, non era alla portata di un governo tecnico. Ma ci sono gli altri due strumenti: procedibilità a querela e non poche soluzioni deflattive.

Sui reati a querela in presenza del metodo mafioso, il governo introduce una correzione: la condivide?

Se sono esatte le *** secondo cui scatta la procedibilità d’ufficio se sussiste l’aggravante del 416 bis 1, mi pare si tratti di un intervento ragionevole. Ma ripeto, in generale ampliare la procedibilità a querela era opportuno. Non mi scandalizzo se il criterio viene esteso alla violenza privata o al sequestro di persona semplice. Altro discorso vale per il furto. Premesso che scippo e furto in abitazione restano procedibili d’ufficio, ci sono casi tipici come i furti d’auto in cui è necessario lasciare agli investigatori un minimo di agibilità, dunque di tempo, per rintracciare la vittima. Ma è giusto che si tratti di un tempo contenuto, come pare sia previsto dal ddl all’esame del governo. Nel senso che va bene consentire l’arresto e l’applicazione della misura cautelare per la persona colta in flagranza anche se la vittima non ha ancora presentato la denuncia, ma quelle misure non possono essere mantenute, in assenza di querela, per un tempo irragionevolmente lungo. Perché, vorrei dirlo con chiarezza, la tutela dell’indagato va intesa a 360 gradi, e non è immaginabile trattenere in carcere un soggetto quando non esistono neppure i presupposti per la persecuzione di quel reato.

Lei dice: solo con misure simili si preserva il principio di obbligatorietà.

Evidentemente. Se non si provvede con misure del genere, prima o poi l’obbligatorietà dell’azione penale, in cui credo fermamente, salta. E mi pare che il provvedimento del precedente governo si impegni a salvaguardare l’obbligatorietà anche con altri strumenti: nel momento in cui estende l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, il ricorso al decreto penale, i riti alternativi come l’abbreviato con ulteriore riduzione di pena, e anche con le pene sostitutive irrogate direttamente dal giudice in sentenza. Sono tutte soluzioni che riducono i casi in cui si va a giudizio. Nella mia Procura siamo da tempo al lavoro, sul piano organizzativo, per ampliare l’area dei decreti penali di condanna.

Ed è d’accordo col ricorso ai criteri di priorità nella persecuzione dei reati, pure previsto dalla riforma?

Mi pare si sia concepito un meccanismo equilibrato: il Parlamento dà solo un’indicazione di massima, dopodiché si prevede una gerarchia individuata dai vertici degli uffici nel confronto con diversi interlocutori. E guardi, non lo dico perché il Dubbio è il giornale dell’avvocatura, ma già prima della riforma io ho preventivamente sottoposto il mio piano organizzativo di procuratore alle rappresentanze forensi. Non per una questione ideologica, ma per un’esigenza pratica: prima di andare in una certa direzione è giusto ascoltare il punto di vista di una parte che può segnalarti aspetti sottovalutati, ed eventualmente rivederli. Nella riforma, il confronto con l’avvocatura è istituzionalizzato: il che risponde, credo, a un principio di trasparenza. E, ripeto, di realismo: se teniamo all’obbligatorietà, la dobbiamo tutelare, anche con le priorità nell’esercizio dell’azione penale.

Chi non la pensa come lei antepone una sorta di illusoria rassicurazione sociale alla effettiva sostenibilità del carico processuale?

Non ci sarebbe rassicurazione sociale se saltasse l’obbligatorietà. Se a un certo punto la politica, il Parlamento, stabilissero che è il legislatore a indicare rigidamente le priorità nell’azione penale. C’è rassicurazione sociale se le misure deflattive per i reati meno gravi consentono di perseguire davvero le fattispecie più allarmanti.

Intercettazioni: secondo il ministro Nordio, la riforma Orlando, pur ben scritta, prevede che il materiale intercettato passi per così tante mani da rendere inevitabile la “tracimazione” degli ascolti.

Va distinto l’uso patologico delle intercettazioni dalla possibilità stessa di adottarle. A me sembra inaccettabile, sul piano metodologico, che per scongiurare la patologia vada messo in discussione lo strumento. In chiave un po’ ribaltata, è quanto sostenni a proposito della candidatura di Roma per le Olimpiadi: che senso ha rinunciarvi per scongiurare i casi, patologici, di corruzione che potrebbero verificarsi attorno all’evento?

Il guardasigilli sembra insistere sulla divulgazione più che sulla legittimità delle intercettazioni.

Sulla tutela della riservatezza c’è una questione oggettiva che può trovarmi d’accoro. Ma attenzione: con l’intervento operato da Bonafede nel 2020, la riforma Orlando è stata assai modificata, e ancora mi pare sia presto per giudicarla. Neppure si è avuto il tempo di implementarla del tutto. Intanto mi pare che i casi patologici si siano già molto ridotti.

Il ministro cita l’intercettazione di Zaia diffusa da Report.

Non conosco il caso specifico, ma il nodo non consiste nei passaggi di mano, che in realtà con la riforma si sono ridotti. Tutto ruota attorno alla selezione del materiale rilevante: nel caso specifico andrebbe capito se quelle intercettazioni erano state individuate o meno come rilevanti per l’indagine.

Ma di intercettazioni ce ne sono troppe?

Chi lo sostiene dovrebbe tener conto di casi come quello del mio ufficio in cui non è affatto così. Ma sempre qui a Perugia le intercettazioni sono state indispensabili per portare a termine indagini, ad esempio, su organizzazioni dedite a furti in appartamento. Senza, il risultato non sarebbe stato raggiunto. E a parte casi davvero bagatellari, non c’è un’indagine per corruzione possibile senza intercettazioni.

Perché rendere ancora possibili le intercettazioni dei colloqui fra difensore e assistito? I rarissimi casi in cui si scopre una condotta illecita dell’avvocato possono giustificare l’intrusione nella strategia difensiva?

In tutti gli uffici abbiamo impartito chiare direttive alla polizia giudiziaria sulla non trascrivibilità delle intercettazioni in cui parla l’avvocato. Andare oltre quanto prescritto dalla riforma Orlando-Bonafede sarebbe rischioso. Persino sul parlamentare, coperto da immunità rispetto all’arresto, si interviene in caso di flagranza.

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