I guerrafondai americani continuano a scherzare col fuoco

Inviata (modificato)

Gli stucchevoli talk show politici e polemici che ci accompagneranno per tutta l'estate almeno un pregio ce l'hanno: ci fanno considerare il gran caldo (stanotte ho chiuso occhio solo sulla sdraio fuori al balcone) come un male minore. Stamane su La7 Paolo Mieli, trasvolato da Potere Operaio all'atlantismo più prono all'America, polemizzando con chi giudicava imprudente, in questa fase geopolitica calda, la visita della terza carica istituzionale degli USA a Taiwan, sosteneva il pieno diritto della speaker della Camera Nancy Pelosi a visitare "uno stato sovrano". Un altro pregio di questi talk show è che non di rado superano in comicità le caricature di Crozza. Con la sua faccia vescovile e il suo tono autorevole e assertivo, Mieli viene spesso chiamato in tv a pontificare sui dogmi dell'occidentalismo e del liberismo dominanti. Crede di essere il nuovo Montanelli ma due cose lo differenziano dal maestro: al cospetto del "sistema" lui non si tura il naso ma si inginocchia; è un buon giornalista (non un grande giornalista) ma non è uno storico (anche se crede di esserlo). Uno storico serio come Montanelli non avrebbe mai definito Taiwan, ovvero la sedicente Repubblica di Cina, "stato sovrano". Infatti essa non è riconosciuta come tale dagli USA, né dall'Unione Europea. Nel 1971 la sua rappresentanza fu espulsa dall'ONU e sostituita dalla Repubblica Popolare Cinese con una risoluzione che definiva illegale la presenza di Taiwan e riconosceva il governo di Pechino come unico rappresentante della Cina. Oggi Taiwan intrattiene rapporti diplomatici solo con 14 paesi, per lo più microstati come il Vaticano, il più importante è il Paraguay. Quest'ultima relazione risale agli anni '50 e all'amicizia tra il dittatore formosiano Chiang Kai-shek e il generale golpista e neonazista Alfredo Stroessner (che diede rifugio a criminali come Josef Mengele). Sconfitto da Mao nella guerra civile cinese, nel 1949 Chiang Kai-shek si rifugiò nell'isola di Formosa. Per capirci, è come se Benito Mussolini, sconfitto dai partigiani, si fosse rifugiato nell'isola d'Elba e vi avesse costituito una repubblica indipendente de facto, protetta (in chiave anticomunista) ma non riconosciuta dagli USA. Dopo la morte del dittatore (1975) e la fine della legge marziale (1987) Taiwan è diventata una democrazia costituzionale ma la Costituzione stessa tuttora non riconosce espressamente l'indipendenza dell'isola. Insomma, lo status politico di Taiwan non è né carne né pesce. Non è uno stato sovrano de iure ma solo de facto. La Cina continua a considerarla come una provincia rinnegata da riassorbire al più presto, con le buone o con le cattive (e in ogni caso entro il 2049), mentre l'opinione pubblica taiwanese è divisa. La maggioranza propende per l'indipendenza ma due forti minoranze sostengono la riunificazione con la Cina e il mantenimento dello status quo indeterminato. Quest'ultima opzione sembra essere sostenuta anche dai veri padroni dell'isola: i colossi multinazionali taiwanesi dell'elettronica. Per ragioni di mercato, di forza lavoro e di materie prime, il loro rapporto con la Cina continentale può sintetizzarsi nel celebre verso di Ovidio: 

nec sine te nec tecum vivere possum. 

Ebbene, in questo contesto assai ingarbugliato e delicato, aggravato dalla guerra in Ucraina, l'iniziativa americana più che imprudente mi è parsa provocatoria. Se sostieni ufficialmente il principio della Cina Unica, poi non puoi mandare la speaker della Camera a Taipei. Men che meno in questo momento di tensione geopolitica. Nemmeno con il pretesto dello scalo tecnico dell'aereo. Una scusa ipocrita data in pasto ai servi sciocchi e digerita da Paolo Mieli, ma che agli occhi dei cinesi, che sono gente seria, ha solo peggiorato le cose. Una iniziativa improvvida che rafforza l'asse Cina-Russia e spinge le tre superpotenze mondiali su un piano inclinato che porta alla guerra. Questo articolo di Lucio Caracciolo è illuminante quanto inquietante:

https://infosannio.com/2022/08/04/lucio-caracciolo-cina-e-stati-uniti-sono-su-un-piano-inclinato-che-porta-alla-guerra/

Naturalmente la terza guerra mondiale non la vuole nessuno, ma allora perché gli USA continuano a soffiare sul fuoco, a scherzare col fuoco? Non bastava l'ingente invio di armi in Ucraina dopo le pressioni della NATO per inglobare l'Ucraina stessa, e il folle ok dell'arteriosclerotico Biden a Putin per una "incursione minore" pochi giorni prima dell'invasione russa? Il motivo a mio avviso è sempre lo stesso e molto semplice. 30 anni dopo la fine della guerra fredda il maggiore produttore ed esportatore di armi del mondo vuole scatenare, negli alleati, negli avversari storici e perfino nei paesi neutrali (com'erano per es. Svezia e Finlandia) una gigantesca e forsennata corsa al riarmo. 

Modificato da fosforo311

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