Costi e benefici del nucleare italiano

Fummo, come è noto, tra i pionieri del nucleare civile nel mondo. A metà anni '60 eravamo il terzo produttore mondiale di energia elettronucleare dietro USA e UK. Ma fummo anche i primi a uscirne, dopo il disastro di Chernobyl del 1986 e il successivo referendum popolare del 1987. In realtà uscimmo solo dalla produzione di energia, tutto il resto del nucleare pregresso ce lo trasciniamo come un peso morto che ci accompagnerà ancora per decenni (per non parlare dei molti millenni che impiegheranno le scorie più pericolose per decadere in isotopi stabili). Altri paesi nel frattempo sono usciti, la Germania spegnerà il suo ultimo reattore l'anno prossimo. Ma la UE, su pressione della Francia e dei paesi orientali, è orientata a riconsiderare il nucleare, addirittura come fonte energetica green. Se ne parla anche in Italia. In particolare ne parlano Salvini, i confindustriali e il ministro della Finzione Ecologica Cingolani... pardon, Transizione Ecologica. Ma quasi nessuno parla del peso morto da smaltire. E allora allego questa recente e scrupolosa analisi di Milena Gabanelli sull'annoso quanto gravoso problema del decommissioning delle nostre 4 piccole e vecchie centrali atomiche, e su quello, forse perfino più spinoso, della sistemazione delle relative scorie  radioattive in un Deposito nazionale che, a oggi, nessuno sa dove né quando verrà costruito.

https://infosannio.com/2021/12/20/nucleare-la-sogin-doveva-smantellare-le-centrali-ma-dopo-21-anni-i-rifiuti-radioattivi-sono-ancora-li/

Nel 1999 fu creata la Sogin, società pubblica finalizzata per l'appunto allo smaltimento del nucleare pregresso. Lavoro che avrebbe dovuto completare entro il 2019 a un costo di 3,7 miliardi di euro, pagato dai contribuenti tramite un balzello sulla bolletta elettrica. Ebbene, dopo oltre 20 anni la Sogin ci è costata 4 miliardi, anche a causa dei lauti stipendi e dei bonus al personale secondo la Gabanelli, ma ha completato appena il 30% del lavoro. Qualche tempo fa Sergio Rizzo si spinse a fare una proiezione sul costo finale del decommissioning. Secondo lui verrebbe completato nel 2036 con una spesa di 28 miliardi.

Orbene, se volessimo fare un bilancio costi/benefici del vecchio nucleare italiano, dovremmo ovviamente aggiungere i costi di costruzione e di esercizio delle centrali. A titolo di esempio, la costruzione della centrale del Garigliano, la più piccola delle quattro (150 MW netti), costò 40 milioni di dollari del 1958, equivalenti a circa 350 milioni di euro attuali; quella di Caorso, la più grande (860 MW), richiese 468 miliardi di lire del 1982, circa 850 milioni di euro attuali. E i benefici? Furono a dir poco modesti: in 25 anni di attività (dal 1963 al 1987) le nostre centrali nucleari coprirono in media il 2,6% del fabbisogno elettrico nazionale, con una quota massima del 4,45% raggiunta nel 1966. Insomma, un pessimo affare. Non a caso la Gabanelli lo paragona alla famigerata Salerno-Reggio Calabria. Che peraltro oggi non è esattamente un peso morto. Oggi il nucleare di ultima generazione è molto (ma molto) più costoso di quello degli anni '60 e '70, e i tempi di costruzione molto più lunghi (mentre il mutamento climatico accelera), ma c'è chi vorrebbe riportare l'Italia in questa assurda e pericolosa avventura.

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1 messaggio in questa discussione

Non tutti sono contrari all'energia nucleare sig fosforo, dalle parti di Pisa c'è una gallina che vorrebbe una centrale perfino nel suo pollaio.

Dice che vorrebbe fare ovetti fosforescenti prima che li faccia qualche altra gallina.

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